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Ava e Confagricoltura: “Aziende trevigiane messe in ginocchio dall’embargo, servono sinergie o saremo costretti a chiudere”

Consumo di carne in calo, prezzi medi in caduta, export in sofferenza a causa del mercato russo. Periodo nero per gli allevamenti suinicoli della provincia di Treviso, che ieri sera si sono trovati nella sede della neonata Ava, l’Associazione veneta allevatori che ha fuso le associazioni delle province di Padova e Treviso, per fare il punto sulla difficile situazione di mercato e parlare dei possibili sbocchi per uscire da una crisi che rischia di condurre alla chiusura piccole e grandi aziende della provincia.
Alla riunione erano presenti l’allevatore trevigiano Rudy Milani, presidente della sezione economica Allevamenti suinicoli di Confagricoltura Veneto, Alessandro Calliman, agronomo di Ava e Lorenzo Fontanesi, presidente di Opas, una delle più importanti organizzazioni di produttori di suini a livello italiano. I dati emersi sono chiari. Nel 2015 i consumi di carne suina fresca in Italia (fonte Veneto agricoltura) hanno segnato una contrazione del 7,5 per cento, mentre quello di carne trasformata è sceso dell’1,8 per cento. Crolla anche il prezzo medio annuo di vendita dei suini, che a fine anno si attestava su 1,36 euro al chilo (-7,1 per cento rispetto al 2014) e in questo mese è ulteriormente sceso a 1,20.
La nostra è la quarta regione italiana per produzione, con 600 mila capi da ingrasso annui, che genera un’occupazione e un indotto di grande rilevanza – spiega Rudy Milani -, ma stiamo soffrendo per colpa di un embargo assurdo, che ha frenato le esportazioni e ha dirottato sul nostro Paese l’eccedenza produttiva di Germania, Danimarca e Olanda. A darci il colpo di grazia la campagna distorta sul rischio cancerogeno legato alla carne, che ha causato il calo delle vendite. Di qui il crollo di prezzi, che non arrivano neppure a coprire i costi di produzione di 1,30 euro al chilo. Non possiamo ridurre il personale, perché vorrebbe dire chiudere l’azienda, ma stiamo svendendo la carne. Non ci salva neppure il far parte dei consorzi di prosciutto crudo dop Parma, San Daniele, Berico ed Euganeo: oggi, a fronte di un prosciutto prodotto in Italia, ne entrano due dall’estero che sono solo stagionati in Italia ma vengono venduti come nostrani a prezzi stracciati. Una mazzata per la nostra eccellenza made in Italy”.
Quali soluzioni per uscire da questo buco nero? L’Ava, che è attualmente la più grande associazione veneta in ambito suino con 70 aziende di grandi dimensioni, di cui 40 in provincia di Treviso, guarda alle esperienze di aggregazione come Opas, organizzazione con sede a Mantova che ha raggruppato una sessantina di grandi produttori suinicoli del Nord Italia per accrescere la competitività sul mercato. Rudy Milani è già entrato a farne parte e presto altri potrebbero seguire il suo esempio. L’aggregazione si sta rivelando, infatti, una scommessa vincente: “Ci siamo uniti per aggregare l’offerta e spuntare migliori prezzi sul mercato -, ha sottolineato il presidente Fontanesi -. Un anno e mezzo fa abbiamo acquisito due macelli, facendo il salto dalla vendita dei suini a quella della carne. Oggi il fatturato è di 180 milioni di euro, con 861 mila capi macellati, 132 milioni di carne prodotti e clienti come Conad, Beretta, Negroni, Amadori, Esselunga e Galbani. Il mercato è influenzato dal resto dell’Europa, che con il mercato russo chiuso sta producendo un’eccedenza di carne suina pari all’8 per cento. Dobbiamo cercare sinergie, mercati nuovi e fare prodotti innovativi: il consumatore va verso gusti magri e salutistici e il consumo del prosciutto cotto ha raggiunto, per la prima volta nella storia, quello del crudo”.