Dall’introduzione dell’obbligo di iscrizione di tutti i fabbricati al cosiddetto catasto dei fabbricati, previsto dall’art. 9 del decreto legge 557/1993, uno dei motivi di maggiore tensione, e conseguente contenzioso, tra contribuenti ed Amministrazioni comunali è quello dell’applicazione dell’esenzione, dapprima, dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) e, oggi, dell’imposta municipale propria (IMU) sui fabbricati rurali. Sebbene il comma 3bis dell’art. 9 d.l. 557/1993 elenchi, ai fini fiscali, a quali costruzioni, necessarie allo svolgimento dell’attività agricola, debba riconoscersi il carattere della ruralità, comprendendo, specificamente, quelle destinate:
a) alla protezione delle piante;
b) alla conservazione dei prodotti agricoli;
c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento;
d) all’allevamento e al ricovero degli animali;
e) all’agriturismo;
f) all’abitazione dei dipendenti esercenti attività agricola nell’azienda agricola;
g) alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna;
h) ad uso di ufficio dell’azienda agricola;
i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, quand’anche operate da cooperative e loro consorzi;
j) all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso,
si è progressivamente affermato, nella giurisprudenza tributaria, un orientamento in virtù del quale la mera appartenenza del fabbricato rurale ad una delle categorie elencate non è sufficiente ad escludere la pretesa tributaria delle Amministrazioni comunali ai fini della riscossione dell’ICI e, oggi, dell’IMU. Si è ritenuto, infatti, necessario un quid pluris: l’accatastamento del fabbricato nella categoria A/6 o D/10. Ecco che l’atto di classamento acquisisce efficacia dirimente ai fini dell’applicazione o meno dell’esonero ICI/IMU. Se all’atto del classamento, è riconosciuta la categoria A/6 o D/10, opera in modo automatico l’esenzione dall’imposta. Viceversa, in caso di attribuzione di una diversa categoria catastale, quand’anche l’immobile svolga una delle funzioni sopra elencate, il pagamento sarà automaticamente dovuto. Solo mezzo di difesa per il contribuente è quello di impugnare e contestare l’atto di classamento. Non è sufficiente, invece, la presentazione, a mezzo di apposita autocertificazione, di domanda di variazione. Lo conferma la recente ordinanza n. 23386 del 24.08.2021 della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, la quale, nel ribadire un orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 18565 del 21.08.2019, ha respinto e bocciato la pretesa tributaria del Comune di Cavisano. Non è stata, infatti, ritenuta sufficiente la cessazione dell’attività agricola svolta da parte della contribuente per “ripristinare” la pretesa impositiva a fronte di unità immobiliari ancora classate come D/10.
A conferma che ciò quanto conta è il catasto e null’altro.