Il Presidente della Regione Zaia torna a parlare dell’embargo, in un’intervista esclusiva rilasciata a Confagricoltura Veneto.

La deliberazione della Giunta regionale del 6 ottobre può conferire maggiore concretezza alla battaglia avviata dalla Regione contro l’embargo che ha colpito anche i prodotti veneti in conseguenza delle sanzioni che l’Unione Europea ha deciso nei confronti della Russia. In particolare, i produttori si chiedono che iniziative la Regione intenda adottare a sostegno delle imprese colpite dall’embargo, terzo obiettivo indicato nella citata deliberazione.

Quella delibera ha il merito di tentare di sbloccare una situazione paradossale a livello nazionale, fatta di chiacchiere e pochi fatti concreti. Non si può giocare alla guerra fredda e insieme giocare a fare gli economisti. Sono gli ignavi che non considerano gli effetti delle decisioni che prendono.
In questo caso, gli effetti della decisione del Governo e dell’Unione Europea ricadono tutti sui produttori. E in particolare del Veneto, che con la Russia hanno avviato un dialogo molto collaborativo e non solo nel comparto dell’agroalimentare. Nel 2013 l’export complessivo del Veneto verso la Russia ha raggiunto un valore di 1,835 miliardi di euro, tenendo conto anche di manifatture, macchinari, telecomunicazioni, calzature, pelletterie e settore moda. Rispetto al 2012, lo scorso anno l’aumento dell’export in valore verso la Russia è stato del 9,3 per cento complessivo, percentuale che sale al 19,6 per cento nei prodotti agroalimentari e al 13,2 per cento nel settore moda. Questo embargo, che a nulla serve ed è frutto sostanzialmente di una ammissione di sudditanza politica, rischia di deprimere quell’accenno di ripresa che il Veneto ha saputo esprimere e di vanificare i positivi risultati generali nelle esportazioni verso l’estero. E di effetti positivi non ne vedo alcuno per nessuno.
Fatta questa premessa, mi è stato dato un mandato ampio per affrontare la questione, compresa appunto l’individuazione di azioni in ambito regionale, nazionale e comunitario per sostenere i produttori e le imprese colpite. Tra le prime azioni c’è quella politica: chi causa il danno ne deve pagare le conseguenze. Governo e Unione Europea devono farsi carico degli effetti economici depressivi delle loro decisioni. Ma affronteremmo anche le opzioni relative a interventi di sostegno finanziario, tanto più necessari in un generale clima dove c’è difficoltà persino ad avere la liquidità per l’ordinaria gestione dell’attività. Mi fermo qui, perché sono temi che possono coinvolgere vincoli sia del patto di stabilità, sia delle normative comunitarie sugli aiuti di Stato.

Sui danni provocati dall’embargo si leggono molte cifre, tutte allarmanti, ma che riguardano di solito l’export complessivo, dell’Italia e di tutti i settori produttivi, verso la Russia. Si ha un’idea, invece, del decremento che potrebbe subire in particolare l’export agroalimentare veneto, che nel 2013 faceva registrare verso la Russia un aumento addirittura del 19,6% rispetto all’anno precedente?

Qui non si tratta di un decremento, ma di un blocco pressoché totale. Che è una cosa più complessa in termini di rapporti commerciali e più grave sotto il profilo del mancato valore e della perdita di reddito per le imprese. L’embargo significherà, in termini numerici, un decremento complessivo, non una minore crescita. E’ un esito che ci preoccupa, perché nel frattempo la Russia troverà altre fonti di approvvigionamento e rischiamo di perdere posizioni di mercato anche per il futuro, quando la vicenda dovesse risolversi. Nello stesso tempo, è inevitabile un aumento dell’offerta interna europea, con un calo dei prezzi, magari accompagnato da manovre speculative e di tipo protezionistico. Insomma: siamo stati messi in un bel guaio, senza che nessuno pensasse a come fronteggiare il dramma creato.
I numeri reali di cui disponiamo sono i seguenti: l’export agroalimentare del Veneto in Russia vale, dati 2013, l’1,9 per cento del totale regionale delle esportazioni in questo segmento. A livello nazionale, l’export complessivo dell’agroalimentare italiano in Russia ammonta ad un valore di 706 milioni 485 mila euro, pari al 2,1 per cento sul totale dell’intero Paese. Se togliamo il 2 per cento al fatturato aziendale cosa succede? Ognuno può fare i suoi conti, tenuto conto di quali sono oggi i margini di redditività delle imprese, dove un due per cento può essere, letteralmente, l’anticamera del fallimento. Questa però è anche la prospettiva più ottimistica, perché il 2 per cento è una media tra chi esporta e chi non lo fa: le aziende che si sono effettivamente rivolte al mercato russo esportano molto di più del loro 2 per cento.
Questo è, in ogni caso, solo il danno diretto e immediato. Perché poi bisogna vedere se riusciremo a recuperare le posizioni raggiunte e riprendere i buoni anzi ottimi rapporti che ci legano al mercato russo. Il quale appunto non se ne resterà mani in mano, se sono vere le notizie di approvvigionamenti anche di carne di canguro e di coccodrillo da parte del grande Paese dell’est.
Sotto il profilo dei rimedi dobbiamo in ogni caso, e direi anche a prescindere dalla questione, cercare di incrementare i mercati interni e trovare altri sbocchi esteri per il nostro export mancato. Vediamo quali frutti matureranno dal lancio dei prodotti a marchio QV nella distribuzione organizzata del Veneto, mentre stiamo lavorando sulla Cina per dare più forza alla nostra penetrazione commerciale. Siamo però agli inizi, rispetto ad un valore  del nostro export in Cina, che in valore si aggira sullo 0,7 per cento del totale dell’esportato, dati 2013.

Le prese di posizione di carattere politico assunte dalla Regione, come la risoluzione approvata dal Consiglio poi diventata un ordine del giorno adottato all’unanimità dalla Conferenza dei presidenti dei Consigli regionali, sono culminate nel proposito di trattare direttamente con la Russia la cessazione dell’embargo. Quali sono le possibilità di successo di un’iniziativa di questo tipo, quanto meno come pressione politica verso lo Stato, anche alla luce del ruolo primario riservato allo stesso nelle relazioni internazionali?

Quali siano le possibilità di successo di un’azione diretta onestamente non lo so. Io mi auguro che ci aprano degli sbocchi, anche se la partita, dal punto di vista della politica internazionale, si gioca tutta sopra le nostre teste. Confidiamo nei buoni rapporti che abbiamo fin qui costruito e anche sulla qualità delle nostre produzioni, ma al momento l’’atteggiamento russo è formalmente contrario ad ogni apertura e punta ad una trattativa diretta UE – Russia.
Quanto all’azione in sé che mi è stata delegata, non ne faccio una questione di competenze ma di difesa dei nostri interessi, degli interessi dei nostri imprenditori, degli interessi dei veneti e del Veneto. Se al governo la pensassero allo stesso modo, cioè a fare gli interessi dei cittadini, forse non ci saremmo trovati in questa situazione, penosa ma purtroppo anche deleteria.

Il secondo obiettivo indicato nella deliberazione della Giunta regionale del 6 ottobre è rappresentato dalla possibile presentazione di un ricorso da parte della Regione, sia in sede europea che nazionale, per eliminare le sanzioni applicate dall’UE nei confronti della Russia. Quali prospettive favorevoli può offrire questa strada?

Anche qui il discorso è aperto ad incognite, e non solo legali. Io credo che ci siano gli estremi per una azione legale di tutela, ma il nostro è il Paese dei cavilli, quelli che ad esempio impediscono di realizzare in tempi “umani” un’opera di difesa idraulica che salva vite umane perché tutti ricorrono per ottenere qualcosa in più. Mi rendo anche conto che la scelta dell’embargo risponde esclusivamente a scelte di tipo politico, che hanno calpestato sul nascere quelle “pratiche” e di buon senso. Anche in questo caso, tuttavia, è una strada che non dobbiamo trascurare e che potrebbe essere importante per oggi e per il futuro.

Per iniziativa, fra gli altri, del presidente del Consiglio regionale Clodovaldo Ruffato e dell’assessore all’economia Maria Luisa Coppola, è stato sottoscritto dalle associazioni di categoria agricole e della grande distribuzione il protocollo di intenti “Italiano, meglio veneto”. Anche questa  iniziativa si inserisce all’interno delle azioni che la Regione sta avviando per ovviare alle conseguenze negative dell’embargo, promuovendo i prodotti agroalimentari veneti. Si può sapere qualcosa di più in particolare per quanto riguarda il ruolo che dovrebbe svolgere la grande distribuzione?

Se i produttori piangono, la grande distribuzione veneta non ride. Purtroppo anche da noi c’è la presenza di una grande distribuzione internazionale che può ammortizzare meglio i contraccolpi economici che si verifichino ora in questo, ora in quel Paese. L’esempio recente della Billa, ancorchè non legato all’embargo, dovrebbe insegnarci qualcosa su questo versante. Qui c’è stata una scelta precisa sulla base di una considerazione che è riassumibile come segue: “operare in Italia non ci conviene come avevamo programmato”.
Tutto questo va visto anche sotto un’altra luce: non credo che le difficoltà della grande distribuzione e le tensioni che per questo si creano nelle filiere dipenda dagli italiani che non vogliono spendere, ma dal fatto che di soldi da spendere ne hanno pochi.
Ho sentito fantasiose teorie negli ultimi temi, del tipo “gli italiani non spendono ma mettono i soldi da parte perché c’è un clima economico che fa paura e manca l’ottimismo”. Io non ci credo: è la solita teoria di un pollo a testa. Se l’Istat ci dice che ci sono in Italia ci sono 6,2 milioni di persone in povertà assoluta, cioè a reddito zero, pari al 9,9 per cento della popolazione e che un altro 16,6 per cento è in una situazione di povertà relativa, non credo che questo dipenda dal fatto che mettono via soldi. E 200 mila posti di lavoro in meno nel Veneto non fanno risparmiare nessuno.
Per contro sono convinto che ci sia un interesse comune della grande distribuzione di territorio con la produzione di territorio a percorrere strade nuove in sintonia. Su questo vogliamo e dobbiamo operare, sapendo di avere a che fare con imprenditori molto seri e molto bravi, abituati a lavorare e non a speculare. L’esempio del marchio QV è molto valido e potrà darci molti insegnamenti su quello che si può fare in termini di solidarietà a livello di comunità regionale. Seguiremo anche questa strada.