Nella zona 20 mila alveari producono in 15 giorni 500 tonnellate di miele. Tra le acacie produttori da tutto il Triveneto: “Siamo nomadi e lavoriamo di notte, creiamo ricchezza e tuteliamo l’ambiente”
E’ l’oro del Montello, anche se pochi lo sanno. Nonostante il maltempo delle ultime settimane non sia stato di aiuto, la produzione di miele dalle profumate acacie trevigiane arriverà a sfiorare quest’anno quota 500 tonnellate, pari a 3,5 milioni di fatturato. Un valore notevole, che può essere equiparato a quello di 300 ettari di prosecco.
Per questo gli imprenditori apistici sono stanchi di essere considerati alla stregua di semplici hobbisti e chiedono che il loro settore abbia la stessa dignità degli altri: “Siamo professionisti e viviamo di miele – dice Francesco Bortot, degli apicoltori di Confagricoltura Treviso, con azienda a Biadene di Montebelluna -. Deteniamo gran parte degli alveari del Veneto, lavoriamo tutto l’anno e la richiesta di miele è costantemente in crescita, soprattutto nel campo del biologico. Chiediamo attenzione alla Regione, ai Comuni e agli agricoltori, perché le api sono un importante patrimonio per il territorio”.
L’acacia, importata in Europa dall’America, inizialmente era una pianta rustica e infestante. Dagli anni ’80 ha cominciato ad assumere un’importante valenza per l’apicoltura del Montello, raggiungendo l’exploit negli scorsi anni grazie all’avvento del “nomadismo del miele”. In 15 giorni di fioritura il numero di alveari raggiunge quota 20 mila. Ogni alveare è abitato nel massimo sviluppo da circa 50 mila api operaie e produce dai 20 ai 30 chili di miele. Il prezzo di mercato attualmente va dai 7-8 euro al chilo, che sale a 16 euro se il prodotto è biologico.
Spiega Bortot: “Inizialmente il nostro lavoro era stagionale, mentre oggi dura tutto l’anno. Ad una condizione: dobbiamo spostarci da una zona all’altra. Il nomadismo degli alveari è indispensabile sia per l’impollinazione e lo sviluppo degli alveari, sia per garantire con diverse fioriture tipologie variegate di prodotto. In marzo, quando le api si svegliano dal letargo invernale, le portiamo in Trentino o in Emilia Romagna per l’impollinazione del melo, del pero e del ciliegio. In maggio torniamo nel Montello per la fioritura dell’acacia. In giugno ci spostiamo nella pedemontana per il castagno, quindi nel Bellunese per la fioritura del tiglio e infine in alta quota per il rododendro”.
Il Montello come la California, che muove alveari da tutti gli Stati Uniti per l’impollinazione del mandorlo. In questi giorni sono presenti produttori da tutto il Nordest e oltre: Friuli, Trentino, Veneto, Emilia Romagna, Slovenia: “Carichiamo gli alveari sui camion di notte, quando le api dormono – racconta Elisa Caramore, produttrice trentina di Canal San Bovo -. Ogni camion ne trasporta una sessantina: impieghiamo una settimana per trasferirle tutte da una zona all’altra. Di giorno dobbiamo accudire le api, come animali in stalla: controlliamo che non ci siano orfane senza regina, verifichiamo se stanno bene, valutiamo quando è il momento di spostarle su un’altra fioritura. E’ un lavoro impegnativo e altamente specializzato, che non si può improvvisare e richiede anni di esperienza, studio e lavoro. L’apicoltura attrae molti giovani, perché richiede investimenti più limitati rispetto ad altri allevamenti: un alveare chiavi in mano costa circa 250 euro. Ma alla fine sono le api a selezionare chi è davvero in grado di fare l’apicoltore: devi capire che cosa sta succedendo nell’alveare, se le api stanno facendo miele, se sono disadattate e aggressive, se si perdono le famiglie. E agire di conseguenza”.
Gli Agostini arrivano dalla provincia di Belluno. E le api a Volpago del Montello le maneggiano senza maschera: “Le api non sono cattive. Sono mansuete se si rispettano i loro ritmi e si salvaguarda l’habitat in cui si muovono”.
In Italia, ogni anno, si producono circa 150 mila quintali di miele. Problemi con la concorrenza straniera non ce ne sono, nonostante le produzioni dell’Est siano battute a prezzi bassissimi che arrivano a meno di 2 euro al chilo: “La dicitura “vero miele italiano” è una garanzia per noi produttori e per i consumatori – assicura Bortot -. Il mercato va sempre più verso il bio: il consumatore di miele cerca un prodotto genuino e locale come il nostro: chiaro, profumato e dolcissimo”.