La Regione e la Provincia di Treviso hanno elaborato la proposta di piano faunistico- venatorio che andrà a regolamentare la gestione della caccia dal 2014 al 2019.

La proposta è stata illustrata ai cittadini in un incontro, aperto al pubblico, che si è tenuto a S. Artemio, presso la sede della Provincia, lunedì 30 Settembre.

I dati esposti nel  piano evidenziano che dei 247.993 ettari che costituiscono l’intera superficie provinciale, solo 199.415 (120.796 in pianura e 78.619 in collina) sono classificabili come territorio agro-silvo-pastorale (al netto cioè delle aree urbane, delle strade, delle ferrovie). Erano 217.219 solo  dieci anni or sono.

Corrispondentemente la superficie agricola utilizzata, negli ultimi dieci anni, si è ridotta di undicimila ettari attestandosi a 127.230 ettari.

Se dagli ettari di superficie agro-silvo-pastorale della pianura si tolgono le aree, a vario titolo, interdette alla caccia, rimangono potenzialmente disponibili all’esercizio venatorio 57.848 ettari.

E’ evidente insomma come il territorio a disposizione degli agricoltori e fruibile dai cacciatori si sia, in pochi anni pericolosamente ridotto.

In una situazione come quella sopra descritta, gli agricoltori, che sono gli unici veri custodi del territorio, si sarebbero aspettati da parte della Regione e della Provincia, scelte coraggiose e innovative. Purtroppo così non è stato.

E’ vero che il piano enuncia tra i suoi obiettivi principali la riduzione dei danni causati dalla fauna selvatica alle attività agricole e si propone di “attenuare i livelli di conflitto e di percezione negativa nei confronti dell’attività venatoria da parte del mondo agricolo e dell’opinione pubblica in generale”, ma , ai buoni propositi, non ci sembra sia seguito un impianto normativo coerente con gli stessi.

Il numero degli ambiti territoriali di caccia (A.T.C.) in cui è suddivisa la zona di pianura è stato ridotto da 13 a 10, mentre come organizzazioni agricole del trevigiano avevamo suggerito la riduzione a sei massimo sette ambiti: soluzione quest’ultima che avrebbe consentito una migliore distribuzione dei cacciatori sul territorio e avrebbe inoltre permesso una creazione di nuovi istituti faunistici a gestione privata , meno impattante sulla libera caccia.

La proposta di piano denota, ancora una volta, una contrarietà di fondo nei confronti delle aziende faunistico-venatorie, delle aziende agro-turistico-venatorie e dei centri privati di produzione della selvaggina. Per il mantenimento e per la creazione di questi istituti, di grande interesse per gli agricoltori, sono previsti obblighi e procedimenti sempre più impegnativi e complessi; la superficie massima che la legge riserva a questi istituti è pari al 15% del territorio agro-silvo-pastorale e in provincia di Treviso è ferma al 7,7%.

Anche per quanto riguarda il sistema di risarcimento dei danni, il nuovo piano, pur prestando una maggiore attenzione all’argomento, non risolve l’inadeguatezza del sistema, ipotizzandone uno ancora più complesso di quello oggi in vigore e che – per stessa ammissione degli estensori – si è rivelato un totale fallimento.

Una nota positiva si rileva nella elencazione, contenuta nel piano, delle casistiche che possono giustificare la presentazione, da parte degli agricoltori, delle domande per l’esclusione dei loro terreni dall’attività venatoria; purtroppo, per la presentazione delle relative domande viene riconfermato lo strettissimo termine di trenta giorni dalla pubblicazione del piano e soprattutto è ribadita l’assoluta discrezionalità, da parte dell’amministrazione provinciale, nell’accoglimento delle domande, che permane condizionato alla loro compatibilità con la pianificazione venatoria.