Con gli articoli 23, 37 e 39 del D.L. n. 98/2011 conv. in Legge n. 111/2011 (G. U. n. 164 del 16/07/2011), recante norme urgenti per la stabilizzazione finanziaria, sono state introdotte diverse disposizioni di carattere fiscale di cui si illustrano le misure di maggiore interesse alla luce dei primi chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 41/E del 05/08/2011 e la risoluzione n. 72/E dell’11/07/2011.
 
Chiusura delle partite IVA inattive (art. 23, commi 22 e 23)
Al fine di prevenire e reprimere l’evasione in materia di IVA e di ridurre il numero delle partite IVA formalmente attive rispetto a quelle effettivamente operanti, con l’aggiunta del comma 15 quinquies all’art. 35 del DPR n. 633/72, è disposta la revoca d’ufficio del numero di partita IVA qualora per tre annualità consecutive il titolare non abbia esercitato l’attività d’impresa o di lavoro autonomo ovvero, se obbligato alla presentazione della dichiarazione annuale IVA, non abbia adempiuto a tale obbligo. Il provvedimento di revoca è impugnabile davanti alle commissioni tributarie.
 
La previsione della mancata presentazione della dichiarazione IVA non riguarda i soggetti esonerati dall’adempimento, come gli agricoltori esonerati, di cui all’art. 34,c. 6, del DPR n. 633/72, ai quali peraltro torna applicabile, quale causa di revoca, l’ipotesi del non esercizio dell’attività d’impresa.
 
E’ previsto, inoltre, che i contribuenti che non abbiano tempestivamente presentato la dichiarazione di cessazione di attività, ai sensi dell’articolo 35, comma 3, del DPR n. 633 del 1972, nei confronti dei quali non sia stata contestata la violazione da parte dell’ufficio, possano sanare la violazione presentando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in commento, e cioè entro il 4 ottobre 2011 (90 giorni dal 06/07/2011, data di entrata in vigore del D. L. n. 98/2011), la dichiarazione di cessazione di attività (mod. AA7/AA9) versando, entro lo stesso termine, un importo di 129 euro, pari alla sanzione minima di 516 euro, indicata nell’articolo 5, comma 6, del D. Lgs. n. 471/97, di 129 euro, ridotta ad un quarto.
 
Il versamento va effettuato con il modello “F24 versamento con elementi identificativi” con il codice tributo 8110 “Sanzione per l’omessa presentazione della dichiarazione di cessazione attività di cui all’art. 35, c. 3, del DPR 633/1972 – Sanatoria di cui all’articolo 23, c.23, D.L. n. 98/2011”.
 
Per la compilazione del modello, come stabilito dalla risoluzione n. 72/E ,nella sezione “ERARIO ED ALTRO”:
 
– nel campo “tipo” va indicata la lettera “R”;
– nel campo “elementi identificativi” va indicata la partita IVA da cessare;
– nel campo “codice” va indicato il codice tributo;
– nel campo “anno di riferimento” va indicato l’anno di cessazione dell’attività nel formato AAAA.
 
Con tale modello non è possibile utilizzare in compensazioneeventuali crediti disponibili per il pagamento dell’importo dovuto.
 
Studi di settore (art. 23 comma 28)
Sono introdotte misure più severe per la mancata presentazione del modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore e per l’omessa o infedele indicazione dei dati. Più in particolare, in caso di omessa presentazione del modello, sempre che il contribuente non provveda alla presentazione dello stesso con una dichiarazione integrativa, anche a seguito di specifico invito da parte dell’Agenzia delle Entrate, è disposta l’applicazione della sanzione nella misura massima pari a 2.065 euro (art. 8, c.1, del D.Lgs. n. 471/97). La disposizione trova applicazione con riguardo alle violazioni commesse a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 98 (06/07/2011).
 
Nei casi di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi non sussistenti, con integrazione dell’art. 39 del DPR n. 600/73, è prevista la possibilità di procedere all’accertamento induttivo quando il maggior reddito d’impresa ovvero di arte o professione accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore, sia superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato.
 
La stessa condizione del superamento del 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato deve verificarsi per l’applicazione della nuova maggiorazione del 50 per cento delle sanzioni minime e massime applicabili in fase di accertamento, in caso di omessa compilazione dei modelli da studi di settore, nelle ipotesi di rettifica delle dichiarazioni dei redditi, IVA ed IRAP, sempre che il contribuente non provveda alla presentazione di una dichiarazione integrativa, anche a seguito di specifico invito da parte dell’Agenzia delle Entrate.
 
Infine, gli uffici non sono più tenuti ad evidenziare le ragioni, nelle motivazioni all’atto di accertamento, che li inducono a disattendere le risultanze degli studi in quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi attribuibili all’attività economica sotto osservazione. 
 
 
Razionalizzazione del procedimento di irrogazione delle sanzioni (art. 23, comma 29)
Sono introdotte alcune modifiche, in materia di irrogazione delle sanzioni, agli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 472/97. Con la modifica all’art. 16 si estende la facoltà della definizione in misura ridotta delle sanzioni (1/3 della sanzione irrogata), all’ipotesi in cui le stesse siano state rideterminate dall’Ufficio a seguito dell’accoglimento delle deduzioni prodotte dal contribuente, mentre nel caso di mancato accoglimento delle deduzioni proposte il pagamento andrà fatto per l’intero ammontare delle sanzioni irrogate.
 
La disposizione si applica agli atti di irrogazione delle sanzioni notificati dopo la data di entrata in vigore del decreto legge in commento, nonché a quelli notificati prima della suddetta data e per i quali risultano pendenti i termini per la proposizione del ricorso.
 
La modifica all’art. 17 stabilisce, invece, l’obbligo per l’Ufficio e non più la facoltà di irrogare le sanzioni collegate al tributo, contestualmente all’avviso di accertamento o di rettifica. In breve, non sarà più possibile irrogare le sanzioni collegate al tributo con separato atto di contestazione.
 
La disposizione si applica agli atti emessi a decorrere dal 1° ottobre 2011.
 
Garanzie e sanzioni su pagamenti rateali (art. 23, commi 17-20)
In riferimento al pagamento delle somme dovute per la definizione dell’accertamento con adesione della conciliazione giudiziale o dell’acquiescenza all’accertamento è eliminato l’obbligo di prestazione della garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria, ovvero rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi) qualora l’importo delle rate successive alla prima sia superiore a € 50.000.
 
Il perfezionamento della definizione è ora subordinato esclusivamente al pagamento dell’intero ammontare o della prima rata fermo restando che il mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta l’iscrizione a ruolo delle residue somme e del doppio della sanzione ex art. 13, D.Lgs. n. 472/97 (60% delle residue somme dovute a titolo di tributo).
Le nuove disposizioni non si applicano agli atti di adesione, alle definizioni ex art. 15, D.Lgs. n. 218/97 e alle conciliazioni giudiziali già perfezionate, anche con la prestazione della garanzia, prima dell’entrata in vigore del decreto legge.
  
Riscossione delle somme some dovute in base agli avvisi di accertamento esecutivi (art. 23, comma 30)
Come già ricordato (v. circolare confederale n. 13800 del 25 luglio 2011) la procedura di riscossione delle somme dovute in base agli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate, con efficacia esecutiva (senza la preventiva notifica della cartella di pagamento), ha effetto per gli atti emessi a far data dal 01/10/2011, anziché dall’01/07/2011.
 
Misura delle sanzioni per brevi ritardi (art. 23, comma 31)
Con apposita modifica all’art. 13, c. 1, del D.Lgs. n. 471/97 è introdotta una nuova misura della sanzione applicabile alla generalità dei versamenti che vengono eseguiti entro quindici giorni dalla ordinaria scadenza. Più precisamente, è prevista la riduzione della sanzione per il ritardo dei versamenti (ordinariamente prevista nella misura del 30 per cento, a norma del suddetto art. 13) ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Così, ad esempio, se un versamento di 500 euro è eseguito con due giorni di ritardo, sconterà la sanzione del 4 per cento pari ad euro 20 euro (500 * 0,30 * 2/15). A partire dal quindicesimo giorno di ritardo, ovviamente, la riduzione si annulla per ritornare alla misura ordinaria (30 x 15/15 = 30).
 
L’istituto torna applicabile anche nell’ipotesi dell’utilizzo del ravvedimento operoso previsto dallo stesso art. 13 del D.Lgs. n. 471/97 nel senso che si aggiunge alla riduzione delle sanzioni previste per il ravvedimento che si ricorda sono pari ad 1/10 del 30 per cento del tributo non versato, nel caso che la regolarizzazione avvenga entro i 30 giorni dalla scadenza, e di 1/8 del 30 per cento nel caso del ravvedimento eseguito entro il termine di presentazione della dichiarazione riferita all’anno della violazione. Di conseguenza, se il versamento è effettuato con un ritardo inferiore a quindici giorni e si versano gli interessi legali e la sanzione entro il termine di 30 giorni dalla scadenza, l’importo della sanzione sarà pari, con un ritardo di due giorni, allo 0,4 per cento. Per il caso, di cui sopra, del versamento di 500 euro si avrà: 500*0,30*2/15*1/10 = 2 euro importo della sanzione.
 
La nuova disposizione, trova applicazione anche alle violazioni commesse precedentemente all’entrata in vigore del decreto (in applicazione del principio del “favor rei”), salvo che il provvedimento di irrogazione della sanzione sia divenuto definitivo.
 
Riporto perdite fiscali dei soggetti IRES ( art. 23, comma 9)
Con la modifica dell’art. 84 del TUIR è stabilito che il riporto a nuovo delle perdite fiscali, in compensazione dei redditi d’impresa del periodi successivi, per i soggetti IRES, non è più soggetta al limite temporale del quinquennio successivo. Tuttavia, la compensazione non può superare il limite dell’80 per cento del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta successivo, per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare. Il limite, inoltre, è elevato all’intero ammontare del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta successivo per le perdite maturate nei primi tre periodi d’imposta di avvio dell’impresa.
 
Obbligo di indicazione del codice fiscale per i rappresentanti in giudizio (articolo 23, commi 48 – 50)
E’ disposto che in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l’azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore e il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei difensori.